Donna Haraway, Analisi dell’OncoTopo
Réné Girard, Il capro espiatorio
L’analisi girardiana del meccanismo vittimario parte dall’osservazione del mimetismo umano che spinge gli individui ad agire perché vedono farlo ad un modello.
Al centro del mimetismo c’è il desiderio che è appunto il volere qualcosa perché la vuole l’altro.
Il concetto di desiderio è totalmente diverso da quello di appetito: si vuole qualcosa perché la vuole anche l’altro, è il principio mimetico che muove l’individuo nella sua socialità [ne Le bouch émissaire (1982), trad. it. Il capro espiatorio, Milano, Adelphi, 1987].
Indice
1. Desidero e mimetismo
2. Il meccanismo vittimario
3. La scelta della vittima
4. Il capro espiatorio nel mito e nella religione
4.1 Trasfert di aggressività e trasfert di divinizzazione
4.2 Il cristianesimo e il capro espiatorio
1. Desiderio e mimetismo
Il punto di partenza della spiegazione che Girard offre del meccanismo del capro espiatorio è la dinamica umana del desiderio. L’animale, infatti, agisce secondo appetiti dettati dall’istinto, l’uomo invece osserva e, successivamente, imita.
Nasce così un rapporto triangolare nel quale qualcuno desidera qualcosa perché qualcun altro la possiede. Ciò comporta che le cose che vogliamo avere non le desideriamo per se stesse, ma perché sono possedute dal modello a cui ci omologhiamo.
Se finiamo col desiderare tutti le stesse cose diventiamo, però, rivali e antagonisti. La rivalità mimetica è, dunque, il conflitto antropologico essenziale di cui dà conto anche l’ultimo comandamento che prescrive di non desiderare la donna e i beni del proprio vicino.
Le forme dell’odio sociale
Lavoro di gruppo della 3E. L’approfondimento sarà concluso dalla visione del film L’onda.
Temi
1. Umberto Galimberti, Cattivi
Chi sono i cattivi soggetti? I criminali? Approfondimento sull’Effetto Lucifero del filosofo e psicanalista Umberto Galiberti.
Tommaso, Marco, Davide
2. 3. Il meccanismo del capro espiatorio
Presentazione (primi 3 paragrafi) del classico studio del filosofo francese René Girard sulla funzione della vittima designata, dai sacrifici umani al bersaglio sociale.
Aurora D., Patrizio
Aurora G., M. Giulia, Sara S.
4. La personalità autoritaria
Analisi di testi sulla ricerca di Theodore Adorno e Frenkel -Brunswik intorno alle basi psicologiche del fascismo. Il fascismo è un movimento storico e, come tale, ha cause storiche e sociali. Adorno si interrogò, quindi, non sulle cause del fasicsmo, ma sulle possibili caratterisitiche del tipo psicologico sensibile al suo messaggio politico, concentrato in particolare sull’ostilità per “gli ebrei e i negri”.
Testi: – Giovanni Jervis. Il problema pp. 12
– La scala F pp. 2
Matilde, Asia, Sara Z.
5. L’odio per lo straniero
Introduzione alla xenofobia.
– A, Dal Lago, Qualcuno da odiare (primo paragrafo)
– J. Steinbeck, Maledetti Okies (tratto da Furore)
Chiara M, Eleonora, Rebecca
6. La coltivazione della paura sociale 1. Come si costruisce una strega
Studio della storica svizzera Martine Ostorero sulla costruzione della strega ad opera dell’Inquisizione.
Anna, Giada, Rita
7. e 8. La coltivazione della paura sociale 2. La zingara rapitrice
Inchiesta sullo stereotipo razzista della zingara rapitrice che analizza tutti i casi di rapimenti attribuiti a donne rom in Italia negli ultimi 50 anni.
Alessia, Virginia, Elisa
Giulia, Nicole
x. La marginalizzazione di un gruppo: i Cagots, gli intoccabili europei
Recensione a un testo storico sulla vicenda medievale dei reietti d’Europa.
Theodor W. Adorno, La personalità autoritaria
Frutto di un’indagine durata dal 1944 al 1949, nel quadro degli studi sull’antisemitismo promossi dall’American Jewish Committee, e pubblicata nel 1950, La personalità autoritaria rappresenta tutt’ora il tentativo più importante di ricerca sociologica condotta con l’impiego sistematico delle teorie psicanalitiche.
Essa trova la propria base nell’incontro delle prospettive interpretative della Scuola di Francoforte, il cui portavoce è Theodor Adorno, con l’impostazione della scuola psicanalitica viennese, rappresentata da E. Frenkel-Brunswik, e con l’interesse per lo studio e la misurazione degli aspetti sociali della personalità, sviluppati dalla psicologia sociale statunitense.
Quest’opera si prefigge quindi di determinare le caratteristiche della personalità autoritaria, intesa come una «struttura profonda» della personalità che ha la sua origine nell’esperienza personale del soggetto e nei suoi primi rapporti con l’ambiente familiare.
L’indagine condotta da Adorno e dai suoi collaboratori mette capo alla scoperta del rapporto tra «personalità autoritaria» e ideologia etnocentrica, rapporto la cui radice viene riconosciuta nel meccanismo di proiezione in virtù del quale l’individuo attribuisce ai membri dei «gruppi esterni» elementi che trova presenti in sé, ma di cui vuol negare o ignorare l’esistenza. Così il rifiuto dei gruppi di minoranza (dagli ebrei ai “negri”), si rivela correlato con la sottomissione all’autorità e con l’aggressività autoritaria, e con una serie di altri atteggiamenti, quali la tendenza all’esteriorizzazione, il convenzionalismo, l’orientamento in vista del potere, ecc.
In questa prospettiva, il fascismo è inquadrato non solo come fenomeno storico, ma come forma di un rapporto sociale basato sulla gerarchia e l’oppressione, la cui espressione nelle relazioni interpersonali (di genere, o genitoriali, ad esempio) o sociali (tra gruppi) ] passa, quindi, anche per la terapia della personalità e dei tratti «profondi» dell’autoritarismo [dalla quarta di copertina].
Di seguito, la bella introduzione di Giovanni Jervis all’edizione italiana [Milano, Edizioni di Comunità, 1973, pp. XIX-XXXI] di The Authoritarian Personality (1949); la premessa di Max Horkheimer, il saggio di Adorno sul pregiudizio con test finale.
Martine Ostorero, La caccia alle streghe. Stigmatizzazione dell’Altro e paura del diavolo
«L’immaginario del sabbah è una costruzione colta al servizio della strumentalizzazione delle credenze».
Martine Ostorero
«La tecnica dei semplificatori del mondo, santi inquisitori o cinici demagoghi che siano,
pare essere sempre quella dell’espulsione della paura oltre i confini del gruppo, o almeno ai suoi margini.
Localizzando lì, nel nemico po nello straniero, la colpa della crisi avvertita o temuta,
s’ottiene di dar vita a un ulteriore “luogo comune” sostitutivo o di rinforzo.
Capita così che il nero, l’ebreo, lo zingaro, o come avviene sempre di più, l’immigrato,
assumano il ruolo di pharmakói, di capri espiatori: insieme veleno e antidoto,
responsabili del disordine e, in quanto vittime immolate, propiziatori dell’ordine».
Roberto Escobar, Metamorfosi della paura, 1997
Presentazione della lezione tenuta dalla prof.ssa Martine Ostorero dell’Università di Losanna al seminario del Progetto Pestalozzi sulla Storia della paura, tenuto il 10 maggio 2012 a Losanna.
Il testo, preceduto da una videolezione realizzata sul tema per i miei studenti, si conclude con alcuni documenti storici relativi ai processi per stregoneria tenutisi nel cantone svizzero del Vaud nel XV secolo.
Secondo Martine Ostorero (Univ. Lausanne), la descrizione delle pratiche di demonolatraia e dell’immaginario legato al sabbah (etimo legato, non a caso, alla festività ebraica dello shabbat, sabato) è stata la prima condizione della caccia alle streghe.
La seconda è stata invece la diabolizzazione della magia e di tutte le eresie, azione che si è sviluppata come una costruzione colta al servizio della strumentalizzazione delle credenze. Il momento d’avvio fondamentale della stigmatizzazione delle streghe è la bolla papale del 1325-27 che identifica magia ed eresia, producendo il fondamentale slittamento che porterà all’assimilazione dell’eresia alla stregoneria a cui aderirà lo stesso Tommaso d’Aquino.
Sabina Tosi Cambini, Chi ruba i bambini?
I risultati del più recente studio socio-giuridico sui rapimenti di minori da parte di rom, in un estratto della relazione tenuta da Sabina Tosi (UniFi) al Convegno Internazionale La condizione giuridica di Rom e Sinti in Italia [Università Milano-Bicocca, 16-18 giugno 2010]. L’inchiesta, che ha esaminato tutti i casi di cronaca dal 1986 al 2007 (quaranta casi in tutto) ha evidenziato come al racconto del tentato rapimento non fosse associato alcun reale rapimento, oltre ad una serie di costanti, come l’assenza di testimoni, e una comunicazione scorretta da parte dei media. L’autrice ha pubblicato lo studio nel 2007 per l’editore CISU, con il titolo La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze (1986-2007).
Introduzione
Questo contributo presenta alcuni risultati della ricerca da me condotta sui (presunti) rapimenti di bambini non rom da parte di rom e sinti in Italia1: uno studio condotto in parallelo con quello di Carlotta Saletti Salza volto a verificare quanti bambini figli di rom o sinti siano stati dati in affidamento e/o adozione dai Tribunali per i Minori italiani a famiglie gagé. La ricerca ha coperto gli anni dal 1986 al 2007, i casi sono stati individuati e analizzati partendo dall’archivio Ansa (notizie nazionali e locali) e arrivando alla consultazione dei fascicoli dei Tribunali. L’analisi ha, quindi, preso in considerazione ventinove casi, oltre undici di sparizione di minori (dunque, 40 in tutto), sui quali è da subito opportuno indicare il risultato principale della ricerca, e cioè che non esiste nessun caso in cui sia avvenuta una sottrazione del bambino: nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta, ma si è sempre di fronte ad un tentato rapimento, o meglio, ad un racconto di un tentato rapimento. La consultazione
dell’archivio ci ha dato modo di arrivare ad un corpus di notizie che ho studiato sincronicamente e diacronicamente. Alla confusione che generano i media al momento della denuncia del fatto, dando come provato e “vero” il tentato rapimento, se non vi è un arresto non corrisponde quasi mai la notizia dell’esito dell’azione delle Forze dell’ordine. Nei pochi casi in cui questo accade, la notizia non è per comunicare che i rom non c’entrano niente, ma è perché l’esito scioglie in sé altri eventi: truffe, fatti drammatici, situazioni che suscitano ilarità.
Alessandro dal Lago, Qualcuno da odiare
L’allarme sociale scatenato dalla sistemazione dei migranti in quartieri periferici a Treviso e Roma, alcuni mesi fa, perpetua la logica della paura a cui siamo familiarizzati dagli anni ’90. In questo frammento di Non persone. L’esclusione dei migranti in una società globale [Milano, Feltrinelli, 1999, pp. 72-75], Alessandro Dal Lago spiega il ruolo della stampa nella costruzione di un senso comune ostile e il meccanismo tautologico attraverso cui si costruisce la paura dello straniero.
Il sociologo non può disinteressarsi dell’ideologia razziale semplicemente
perché dal punto di vista scientifico è una scempiaggine: molte situazioni
sociali sono efficientemente controllate dalle definizioni di imbecilli.P. Berger, Invito alla sociologia (trad.it) 1967
Marx, Engels, Il Manifesto del Partito Comunista
Il Manifesto del Partito Comunista, un piccolo libro di appena ventitré pagine – l’unico insieme alla Bibbia ad avere un’edizione in tutte le lingue del mondo – fu scritto da Marx ed Engels nel 1847 su incarico della Lega dei giusti che doveva elaborare il proprio statuto.
Poté essere stampato nel febbraio 1848, a Londra, grazie a una colletta di 25 sterline tra gli operai.
Nonostante le sue dimensioni, scrisse Lenin,
«pesa quanto interi volumi, il suo spirito anima e muove tutto il proletariato organizzato e in lotta del mondo civile».
Di seguito la Prefazione, il primo capitolo “Borghesi e proletari” e il secondo “Proletari e comunisti”. Qui, l’intero volume.
Prefazione
Uno spettro s’aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi.
Quale partito d’opposizione non è stato tacciato di comunismo dai suoi avversari di governo; qual partito d’opposizione non ha rilanciato l’infamante accusa di comunismo tanto sugli uomini più progrediti dell’opposizione stessa, quanto sui propri avversari reazionari?
Da questo fatto scaturiscono due specie di conclusioni. Il comunismo è di già riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee.
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