Archive for ‘Filosofia’

2 Marzo, 2014

Michele Martelli, Relativismo, religione, laicità

by gabriella

DioL’Appendice a Il laico impertinente. Laicità e democrazia nella crisi italiana [Roma, Manifestolibri, 2013] pubblicata dal Rasoio di Occam.

Il relativismo e l’antropomorfismo religioso

Qual è l’origine delle religioni? La risposta classica del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, che rovescia la nota formula biblica, riallacciandosi alla riflessione del filosofo greco antico Senofane sulla genesi delle religioni, può essere così riassunta: «E l’uomo creò Dio». Non dunque Dio creò l’uomo “a sua immagine e somiglianza”, ma l’uomo Dio. La teologia si fa antropologia.

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1 Marzo, 2014

Giovanni Sartor, Il diritto digitale come prova generale di un diritto post-liberale

by gabriella

internetNel 2002, in occasione di un congresso giuridico – XXIII Congresso nazionale della Società Italiana di filosofia giuridica e politica, Macerata 2-5/10/2002 – Giovanni Sartor propose una lettura del nuovo tipo di diritto che la digitalizzazione sta sovrapponendo ai sistemi normativi tradizionali. La tesi esposta da Sartor ne Il diritto della rete globale, evidenzia come la prevenzione e l’esecuzione automatica della norma, propri della governance digitale affermatasi dall’inizio del millennio con gli accordi internazionali sul copyright, sopprimano il fondamento kantiano del diritto moderno, vale a dire i principi di autonomia e libertà del cittadino. Il giurista ci guida, in questo modo, ad osservare in che modo accada, sottolineando l’inadeguatezza dell’idea comune che la sorveglianza sia fondamentalmente innocua e che debba temerla solo chi delinque.

Ci si potrebbe chiedere se non dovremmo accogliere con entusiasmo questa tendenza, e accettare il fatto che il diritto venga sostituito da forme più evolute di controllo sociale. Il governo dell’attività umana mediante computer potrebbe rendere vera l’antica utopia del superamento del diritto. Anziché usare la normatività per coordinate il comportamento degli individui (che richiede la cooperazione attiva della mente dell’individuo stesso, ed esige che egli adotti la norma quale criterio del proprio comportamento, o almeno che egli tema la sanzione), la società potrebbe governare il comportamento umano (nel cyberspazio) introducendo processi computazionali che abilitino solo le azioni desiderate. Come abbiamo osservato circa i nuovi modi di proteggere la proprietà intellettuale, quando si fosse in grado di rendere impossibili le azioni indesiderate rimarrebbe la necessità di vietare e punire esclusivamente il comportamento di chi tenti di ricreare la possibilità di tenere tali azioni (il tentativo dell’hacker di rimuovere le protezioni software). Tenendo conto della pervasività del cyberspazio e di come esso si vada compenetrando allo spazio fisico, diventerebbe in questo modo possibile governare in modo articolato e complesso i comportamenti del singolo, liberando la sua mente dell’onere di farsi carico del problema della normatività.

Giovanni Sartor, Il diritto della rete globale, 2002

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12 Gennaio, 2014

Giorgio Agamben, Che cos’è un dispositivo

by gabriella

foucaultIn questo testo del 2006 [ripubblicato in Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, Roma, Nottetempo, collana I sassi, 2010, pp. 4-21] Agamben riflette sul significato del dispositivo  e della soggettivazione nelle società disciplinari, concludendo con un’analisi della problematica resistenza ai dispositivi capitalistici contemporanei – poiché legati a processi di desoggettivazione – e alla possibilità di una loro «profanazione».

1. Le questioni terminologiche sono importanti in filosofia. Come ha detto una volta un filosofo per il quale ho il piú  grande rispetto, la terminologia è il momento poetico del pensiero. Ciò non significa che i filosofi debbano ogni volta necessariamente definire i loro termini tecnici. Platone non ha mai definito il piú importante dei suoi termini: idea. Altri invece, come Spinoza e Leibniz, preferiscono definire more geometrico la loro terminologia.

L’ipotesi che intendo proporvi è che la parola “dispositivo” sia un termine tecnico decisivo nella strategia del pensiero di Foucault. Egli lo usa spesso soprattutto a partire dalla metà degli anni Settanta, quando comincia a occuparsi di quello che chiamava la “governamentalità” o il “governo degli uomini”. Benché non ne dia mai una vera e propria definizione, egli si avvicina a qualcosa come una definizione in un’intervista del 1977:

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9 Gennaio, 2014

Norberto Bobbio, Etica e politica

by gabriella

norbertobobbioNel decennale della morte di Norberto Bobbio (9 gennaio 2004), Micromega ripropone un saggio del 1986 in cui il filosofo illustra il rapporto tra politica ed etica, passando in rassegna le teorizzazioni della loro identità e della loro reciproca autonomia (a partire da Machiavelli). Si tratta di uno scritto limpido che si conclude con la considerazione fondamentale che non solo il rapporto tra etica e politica è controverso, ma l’etica stessa (la legittimità dei fini) resta dilemmatica, poiché l’azione buona non è (da Aristotele in poi) oggetto di definizione (cioè di conoscenza teoretica), ma di scelta rischiosa, basata sulla saggezza (phronesis).

Per la maggior parte della mia vita ho avuto due compiti difficilissimi da svolgere: insegnare e scrivere.
E confesso di essere sempre stato perseguitato dal dubbio di non essere all’altezza di questi due ardui impegni.

Norberto Bobbio

 

Come si pone il problema

I discorsi sempre più frequenti che si fanno da qualche anno nel nostro paese sulla questione morale ripropongono il vecchio tema del rapporto fra morale e politica. Vecchio tema e sempre nuovo, perché non vi è questione morale in qualsiasi campo venga proposta che abbia mai trovato una soluzione definitiva. Sebbene più celebre per l’antichità del dibattito, l’autorità degli scrittori che vi hanno partecipato, la varietà degli argomenti addotti, l’importanza del soggetto, il problema del rapporto fra morale e politica non è diverso dal problema del rapporto fra la morale e tutte le altre attività dell’uomo, per cui si parla abitualmente di un’etica dei rapporti economici, o, com’è accaduto spesso in questi anni, del mercato, di un’etica sessuale, di un’etica medica, di un’etica sportiva e via dicendo. Si tratta in tutte queste diverse sfere dell’attività umana sempre dello stesso problema: la distinzione fra ciò che è moralmente lecito e ciò che è moralmente illecito.

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1 Gennaio, 2014

Giorgio Agamben, Democrazia e sicurezza

by gabriella

AgambenL’autore di Stato d’eccezione su sicurezza e democrazia. Tratto da Le Monde diplomatique, gennaio 2014.

Eretta a priorità politica da una quarantina di anni, la sicurezza, questa nuova denominazione del mantenimento dell’ordine cambia spesso di pretesto (la sovversione politica, il «terrorismo») ma conserva la sua mira: governare le popolazioni. Per comprendere ed eludere la ragione securitaria, bisogna coglierne l’origine e risalire al XVIII secolo…

La formula «per ragioni di sicurezza» («for security reasons», «pour raisons de sécurité») funziona come un argomento autorevole che, tagliando corto in ogni discussione, permette di imporre prospettive e misure che non si accetterebbero senza di essa. Bisogna opporgli l’analisi di un concetto dall’apparenza anodino, ma che sembra aver soppiantato ogni altra nozione politica: la sicurezza.

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28 Dicembre, 2013

Il fascino dell’obbedienza

by gabriella
obbedienza

obbedienza

Le recensioni[alcuni stralci da quella pubblicata su Alfabeta2 e l’intero commento di Kainós] a Il fascino dell’obbedienza. Servitù volontaria e società depressa, in cui Fabio Ciaramelli e Ugo Maria Olivieri si chiedono che cosa rende così diffusa e convinta l’obbedienza al potere e per quale ragione gli uomini cooperino alla propria stessa oppressione.

Gli autori trovano le risposte nel Discorso della servitù volontaria di La Boétie [e nel «disciplinamento» di Sorvegliare e punire] a cui riservo un commento in coda.

O popoli insensati, poveri e infelici, nazioni tenacemente persistenti nel vostro male e incapaci di vedere il vostro bene! […]
Colui che vi domina ha forse un potere su di voi che non sia il vostro? Come oserebbe attaccarvi, se voi stessi non foste d’accordo?

Etienne de La Boétie, Discours de la servitude volontarire

»Eppure solo pochi tra quanti da mezzo millennio si accostano a questo testo brevissimo e straordinario (militanti, eruditi, filosofi, scienziati politici) evitano la tentazione di chiamarsi fuori; brandendo e deviando quel «voi» – di cui dovrebbero farsi carico in prima persona – contro il bersaglio retorico di turno.

Che cosa rende così diffusa e convinta l’obbedienza al potere? Perché gli uomini lottano per la propria servitù come se si trattasse della propria salvezza? Partendo da una rilettura del Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie, il libro di Ciaramelli e Olivieri ne ricostruisce dapprima il contesto originario (il passaggio dalla tirannia antica alla tirannia moderna, resa possibile da raffinate tecnologie di disciplinamento sociale), per poi mostrarne l’inquietante attualità nella nostra epoca, caratterizzata dal dilagare della depressione tanto socio-economica che psichica. La servitù volontaria, denunciata da La Boétie, non dipende dagli sforzi del tiranno ma dall’attività stessa dei dominati che si rivelano gli artefici del proprio asservimento. Allo stesso modo il diffondersi di demotivazione, disinteresse e sfiducia appare un fenomeno che la società democratica può imputare soltanto a se stessa, ma proprio questa sua “responsabilità” può renderne possibile il superamento.

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12 Dicembre, 2013

Paul Livingston, La politica della logica

by gabriella

Politics of LogicAlcuni passaggi interessanti sulla politicità della logica e sulla natura del formalismo, dalla recensione di Marco Piasetier a Paul Livingston, The Politics of Logic [London Routledge, 2012] per il Rasoio di Occam.

Il testo si propone di articolare la relazione tra logos e bìos, ovvero di rispondere alla domanda su come il linguaggio – in quanto forma trascendentale – definisca e plasmi la vita umana. Non si tratta di proporre una ‘logic of politics’, una ‘logica della politica’, ovvero di forzare il pensiero politico entro un formalismo logico ad esso estraneo, ma di portare alla luce la dimensione intrinsecamente politica della logica. Scopo di Livingston è la definizione di una ‘politics of logic’, ‘politica della logica’, secondo la quale l’indagine sul logos è ‘simultaneamente sia logica che politica’ (p. 60):

La questione ultima di questa indagine […] è lo sviluppo di una “politica della logica” che tenti di comprendere il logos stesso – ciò che Eraclito ha definito tempo addietro come il ‘comune’ – come ciò che è l’immediata e necessaria forma di ogni esistenza linguistica (p. 8 ).

[…]

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7 Dicembre, 2013

Marco Gatto, Il ritorno della dialettica

by gabriella

david-harveyTraggo da Consecutio temporum, questa analisi comparata delle letture di David Harvey [The Enigma of Capital e Introduzione al Capitale. 12 lezioni sul primo libro, trad. it. 2012] e Fredric Jameson [Representing Capital. A Reading of Volume One] del primo libro del Capitale, nel segno della dialettica, della demistificazione e del metodo.

A tutti piace pensare di avere i propri «valori», e questi ultimi rappresentano un elemento attorno al quale ruota tutto il dibattito sui candidati alla presidenza durante ogni stagione elettorale. Marx sostiene però che alcuni di questi valori sono determinati da un processo che non capiamo e che non è frutto di nostre scelte consapevoli, e che bisogna analizzare il modo in cui tali valori ci sono imposti.

Se volete capire chi siete e in che punto state di questo turbine di valori, dovete innanzitutto capire come viene creato e prodotto il valore della merce, e che conseguenze – sociali, geografiche, politiche – esso porta con sé. Se pensate veramente di risolvere una problematica ambientale gravissima come il riscaldamento globale senza confrontarvi con la questione di chi e come abbia determinato la base della struttura del valore, state solo prendendo in giro voi stessi. Per questo Marx insiste sulla necessità di capire cos’è il valore della merce e quali sono le necessità sociali che lo determinano.

David Harvey

[….] Gatto mostra infatti come, al di là delle differenze [disciplinari: Harvey è un geografo e urbanista, Jameson un teorico della cultura; e dei riferimenti analitici: Harvey prescinde da riferimenti filosofici precisi, Jameson è debitore di Lukàcs e della Scuola di Francoforte, in particolare di Adorno], L'enigma del capitaleLezioni sul capitale[…] Harvey e Jameson condividono un’idea di base, che informa i rispettivi commenti a Marx. Entrambi concepiscono il lavoro di analisi del capitalismo e delle sue ideologie (del suo apparato ideologico, potremmo dire, e difatti i due teorici non mancano di riferirsi a Gramsci, seppure solo in superficie) in termini manifestamente dialettici. Qualsiasi tentativo di leggere l’insegnamento di Marx in un’ottica parziale, analitica o statica è sin da subito osteggiato: sia per Harvey che per Jameson il capitale è movimento, fluidità, dinamismo che ambisce a costituirsi e a presentarsi, nella sua fenomenicità, come totalità in sé chiusa e statica, ma che, adeguatamente smascherata, si rivela come totalizzazione, ossia come tentativo totalizzante di inglobare tutta la realtà in sé […]

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3 Dicembre, 2013

Il potere

by gabriella

leviathanQuello del popolo «è più onesto fine che quello de’ grandi, volendo questi opprimere, e quello non essere oppresso».

Niccolò Machiavelli, Il Principe

Potere come forza, potere come consenso

Da un punto di vista sociologico, il potere non è una cosa, ma una relazione tra individui. Max Weber lo definisce come la capacità di ottenere obbedienza:

Il potere – infatti – è la possibilità che un individuo, agendo nell’ambito di una relazione sociale, faccia valere la propria volontà anche di fronte a un’opposizione [M. Weber, Economia e società].

A questa visione del potere come forza, cioè come capacità di ottenere un determinato comportamento anche contro la volontà degli individui, si aggiunge quella del potere come consenso, cioè come abilità (autorità) di suscitare consensoobbedienza nelle persone. Si tratta di una distinzione già anticipata da Machiavelli quando, nel Principe, si riferisce alle qualità del leone e delle volpe, metafore della forza e della persuasione.

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2 Dicembre, 2013

Gianni Vattimo, Le ragioni del nuovo realismo

by gabriella

Nel video seguente, Gianni Vattimo risponde alla domanda sulla ragion d’essere del nuovo realismo. La sua “novità”, infatti, non deriva dal contenuto delle sue tesi – che sono “vecchie”, nella misura in cui consistono nella ripresa della concezione metafisica della proposizione come raffigurazione dello stato di cose esistenti –, ma dalle esigenze a cui risponde, che sono quelle del neoliberismo e dello scientismo. Il primo vuol farci accettare come naturali i parametri dell’economia in cui viviamo, mentre il secondo vuol farci “dimenticare” che la scienza parla sempre a partire dal punto di vista di certi paradigmi che valgono nel suo ambito.

[youtube=https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=vct6MnlnObI]

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