Liberi dall’ignoranza, liberi dall’ingiustizia perché finalmente capaci di pensare: Socrate rappresenta l’atteggiamento filosofico più rigoroso di critica della tradizione e di rifiuto della credenza identificati con l’ignoranza delle ragioni per cui l’opinione si è formata in noi.
La sua insistenza sulla ricerca e sul domandare centrano la filosofia su quel lavoro etico e conoscitivo che chiamò dialettica, dopo averne rovesciato il significato sofista. Se la dialettica sofista era infatti l’arte di vincere un duello verbale, quella socratica è piuttosto il combattimento contro tutto ciò che in noi e nella vita in società è assunto senza intelligenza e senza esame per effetto dell’educazione e dell’influenza.
La clamorosa condanna per empietà inflittagli da Atene, accomuna la sua sorte a quella di Anassagora di Clazomene e di Protagora di Abdera che subirono condanna ed esilio trentatré e dodici anni prima di lui, per aver sostenuto che «sole e luna non sono dèi», e che «è impossibile sapere se gli dèi esistono».
Indice
1.Introduzione
1.1Cornelius Castoriadis e la filosofia come critica delle rappresentazioni della tribù 1.2La figura spiazzante di Socrate
2. Anime libere e anime di schiavi
3. Sapere di non sapere
3.1 La virtù è il libero esercizio della ragione 3.2 Sapere di non sapere
4.Il «metodo» socratico
4.1 Gli strumenti della ricerca del sapere: dialettica, ironia, confutazione, definizione 4.2 Educazione e autoeducazione: la maieutica
1.1 Cornelius Castoridis e la filosofia come critica delle rappresentazioni della tribù
Cornelius Castoridis (1922 – 1997)
Se si dice “fine della filosofia”, bisogna dire in uno, “fine della libertà”. Perché la filosofia è questo: è precisamente che sono libero di pensare e che sono libero di interrogarmi. Non sono bloccato dal fatto che la verità è già stata detta. [Nel discorso religioso] c’è strutturalmente un grande blocco: bisogna che in qualche modo tu giustifichi che ciò che dici è compatibile con ciò che nostro padre che è lassù ha detto e che è consegnato nei testi canonici.
Seconda parte del modulo di Psicologia sociale [qui la prima parte] dedicato agli atteggiamenti, all’opinione e al senso comune, cioè a temi condivisi dalla disciplina con la sociologia.
Indice
1. Gli atteggiamenti
1.1 Gli studi sull’atteggiamento 1.2La formazione degli atteggiamenti 1.3 Il rapporto tra atteggiamenti e comportamenti 1.4 Il cambiamento degli atteggiamenti 1.5 L’aggiramento della comunicazione persuasiva a contenuto minaccioso
2. Il conformismo e l’esperimento di Solomon Asch
2.1 L’esperimento Asch 2.2 Il conformismo e i mass media
3. La costruzione dell’ostilità sociale e l’esperimento Sherif 4. Stereotipi e pregiudizi
4.1Gli stereotipi 4.2Come funzionano gli stereotipi 4.3 I pregiudizi 4.4 Come comprendiamo la realtà sociale
Raffaello, I sofisti allontanati dal gruppo dei socratici [La scuola di Atene, 1509, particolare]
I sofisti furono i protagonisti dell’Illuminismo greco, critici di un sapere dogmatico su cui si fondava una precisa gerarchia sociale e attori della prima rivoluzione pedagogica.
Demonizzati da Platone e dagli antichi e rivalutati solo con il pensiero contemporaneo a partire da Hegel e Nietzsche, produssero l’insegnamento di Protagora di Abdera e Gorgia di Lentini.
Il compito principale della psicologia sociale è di analizzare come l’attività mentale delle persone viene condizionata dalla realtà sociale.
In questa prima parte del modulo, i temi dell’attribuzione e degli errori d’attribuzione (tra i quali la tesi disposizionale del male) e dell’obbedienza all’autorità, presentati attraverso alcuni celebri esperimenti americani del dopoguerra.
Indice
1.Gli studi di psicologia sociale nel secondo dopoguerra 2. L’attribuzione e l’origine del male
2.1 Gli studi sull’attribuzione 2.2 Philip Zimbardo, L’origine del male e l’effetto Lucifero
2.2.1 La visione corrente del crimine come errore fondamentale d’attribuzione e l’ideologia della «tolleranza zero» 2.2.2 La psicologia del male e l’esperimento carcerario di Stanford 2.2.3 Concezione disposizionale e situazionale del male 2.2.4 L’esperimento carcerario e il silenzio trentennale di Zimbardo
3. L’esperimento Milgram e l’obbedienza all’autorità
3.1 Il reality francese del 2010 3.2 L’esperimento Milgram
3.2.1 Eteronomia e ridefinizione della situazione
3.3 Come resistere al tempo della barbarie 3.4La rosa bianca e la necessità della resistenza 3.5 Obbedienza e disobbedienza in filosofia politica
4. Il caso di Kitty Genovese e l’effetto bystander (indifferenza dello spettatore)
1. Il caso di Kitty Genovese 2. L’ignoranza pluralistica e la diffusione di responsabilità 3. Ignoranza pluralistica ed effetto spettatore (bystander effect) 4. Inerti di fronte a un dramma: le risposte della psicologia sociale
Con Anassagora, Democrito è il filosofo che ridà legittimità alla ricerca intorno alla natura, dopo il divieto di Parmenide di pensare molteplicità e divenire che per gli eleati equivaleva a contraddittoria compresenza di essere e non essere.
Anche Democrito sceglie una soluzione pluralista: la verità profonda delle cose è legata agli atomi, unità indivisibili di materia che volteggiano nel vuoto dando origine a generazione e distruzione.
Secondo Carlo Rovelli, una tappa fondamentale nella storia della conoscenza è stata il viaggio o la fuga di Leucippo, il maestro di Democrito, da Mileto ad Abdera nel 450 a.c.. Scrive il fisico:
Anassagora rappresenta l’arrivo della mentalità ionica, scientifica e laica, nell’Atene del V secolo. Consigliere di Pericle e amico della compagna di lui, Aspasia di Mileto, fu processato per empietà, avendo dichiarato che «sole e luna non sono dèi, ma una pietra infuocata e una massa terrosa».
Il suo pensiero rappresenta la rifondazione delle scienze naturali dopo l’attacco di Parmenide e Zenone, per i quali divenire e molteplicità (dunque l’intera physis) erano illusori e contraddittori in quanto erronea attribuzione di verità al passaggio dal non essere (nulla) all’essere.
Anassagora sosterrà che «tutto è in tutto», ogni cosa è fatta dei semi di tutte le altre (omeomerie) che sviluppandosi (o restando piccoli) passano dall’invisibilità alla visibilità.
Bisogna che tutto tu sappia,
e il cuore che non trema della ben rotonda verità,
e le opinioni dei mortali in cui non c’è vera certezza.
Solo due strumenti ha la mente per conoscere: i sensi e la ragione. Ma i sensi ci mostrano una realtà mutevole e incomprensibile, nella quale ogni cosa, cambiando, diventa il proprio opposto. Di cosa dunque possiamo essere certi? Esiste una realtà stabile che permette una conoscenza certa, relativa a una verità permanente?
Seguendo la ragione possiamo sapere che l’essere è perché il nulla non può essere pensato. Se invece ipotizzassimo che l’essere non è cadremmo in un grave errore perché «la stessa cosa è e pensare che è», quindi, se pensiamo, dimostriamo che l’essere esiste e che il pensiero non può pensare che l’essere (qualcosa che è).
Il non essere, d’altra parte, non è e non può essere pensato. Dunque tra essere e nulla c’è una differenza incolmabile, essenziale: l’uno non può mai diventare l’altro e viceversa.
Eppure i sensi vorrebbero accreditarci proprio questa tesi: che l’essere e il non essere sono entrambi e passano continuamente l’uno nell’altro, come mostrano il divenire (le cose che sono, un tempo non erano e torneranno ad essere nulla) e la molteplicità degli enti (questa cosa è se stessa ma non è quell’altra e viceversa). La ragione vieta però di accogliere questa confusa contraddittorietà, propria degli uomini che nulla sanno, la cui ignoranza dirige l’errante mente ..
Comprendere che divenire e molteplicità sono opinione infondata (doxa), apparenza illusoria, è allora accogliere senza tremare la ben rotonda verità che l’essere soltanto è necessariamente.
l’Essere parmenideo
Indice
1. Pensare ed essere: l’ordine logico e l’ordine della realtà 2. Il poema sulla natura
2.1L’ontologia parmenidea
3. L’essere, il pensiero, il linguaggio
3.1Le tre vie 3.2 Le caratteristiche dell’essere
4. L’interpretazione di Melisso di Samo 5.L’interpretazione di Emanuele Severino
4.1 La negazione del divenire
4.2 L’eternità dell’essere 4.3 L’essere e il molteplice
1. Pensare ed essere: l’ordine logico e l’ordine della realtà
Con Parmenide di Elea, vissuto nella prima metà del V secolo a.C., la filosofia giunge ad una prima e radicale soluzione del problema della verità (aletheia) che avrà un’influenza immensa sul pensiero filosofico successivo.
Convinzione fondamentale dell’eleate è che tra la realtà, la ragione umana e il linguaggio usato dagli uomini per descriverla ci sia una sostanziale identità (isomorfismo pensiero e realtà).
Eraclito di Efeso è il primo ionico a dare un nome a concetti impliciti nella filosofia dei milesi. Sua è, infatti, l’opposizione tra sapiente e uomo comune tra apparenza e realtà.
Nel frammento DK 22 B101 lascia scritto:
«ho indagato me stesso»,
ad indicare che la verità va cercata in primo luogo dentro di noi, perché l’uomo non è che una parte del tutto, come ogni cosa che ci circonda.
Solo chi se ne è impadronito può dirsi saggio: veramente consapevole è quindi colui che abbandona il mondo ingannevole delle apparenze e impara a vedere nella propria anima, cioè a guardare il mondo attraverso la ragione.
La maggior parte degli uomini, tuttavia, è del tutto ignara di questa verità: gli uomini infatti vivono come in un sogno,
L’acqua è il principio di tutte le cose perché è in tutto e senza di lei non c’è niente. L’acqua è senza forma, perciò può assumere tutte le forme: il divenire perciò si spiega con le trasformazioni dell’elemento originario, costitutivo di tutta la realtà.
Per Talete dì Mileto (626 a.C -548 ca) il principio (archè) di tutte le cose è l’acqua. Secondo Aristotele, Talete ricavò forse questa convinzione constatando che il nutrimento di tutte le cose è umido; che il caldo stesso vive dell’elemento umido; che i semi di tutte le cose hanno natura umida e che l’acqua è il principio naturale delle cose umide.
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